Tuesday, October 2, 2007

La potatura

In the economic sphere an act, a habit, an institution, a law produces not only one effect, but a series of effects. Of these effects, the first alone is immediate; it appears simultaneously with its cause; it is seen. The other effects emerge only subsequently; they are not seen; we are fortunate if we foresee them.
(Frédéric Bastiat)

Stiamo assistendo negli ultimi tempi ad una corsa al riarmo generalizzata, ignorata o minimizzata da gran parte dei mass media, tanto più preoccupante quanto le tensioni in tutte le zone calde del pianeta si stanno estremizzando. Il conflitto in Iraq continua a causare quotidianamente decine di morti, Israele provoca la Siria, l'Iran è nel mirino, si sta approntando un'imponente spedizione ONU nel Darfur, mentre si accendono nuovi focolai come in Birmania.

La spesa in armamenti, se superficialmente rende l'impressione di un'economia forte ed ancora in crescita, ad un'analisi più attenta si rivela per quello che è: un'ulteriore grave, enorme drenaggio di risorse che avrebbero potuto e dovuto tradursi in energia costruttiva. Come aveva compreso Bastiat, gli effetti visibili ci nascondono gli effetti invisibili. Il tank ci impedisce di vedere i trattori che avrebbero potuto essere costruiti al suo posto.

Giocando sull'insicurezza del popolo abilmente coltivata dalla propaganda lo stato presenta l'acquisto di una nuova corazzata come simbolo di potenza e prosperità, e promessa di trionfi ancor maggiori. Ecco allora che, come se fosse inevitabile, qualsiasi contrasto, qualsiasi differenza di vedute con stati o fazioni diverse viene subito preso a pretesto per diffondere un'atmosfera di minaccia: nessuno pare interessato al compromesso e all'accordo, tutti fanno a gara ad istigare i popoli all'odio instillando la paura. Non solo: l'urgenza della guerra unisce nella stessa trincea democratici e repubblicani, destra e sinistra, atei e credenti. Secondo Randolph Bourne:
Il governo, senza il mandato del popolo, senza consultare il popolo, conduce tutte le trattative, i tentennamenti, le minacce e le spiegazioni, che la portano lentamente allo scontro con un certo altro governo e delicatamente ed irresistibilmente a far scivolare il paese nella guerra. A beneficio dei cittadini fieri e orgogliosi, è fortificato dalla lista degli intollerabili insulti lanciati contro di noi dalle altre nazioni; a favore del liberale e benefattore, ha un convincente catalogo degli scopi morali che il nostro andare alla guerra realizzerà; per le classi ambiziose ed aggressive, può delicatamente bisbigliare di un ruolo più grande nel destino del mondo. [...]

Il tempo di guerra mette l'ideale dello Stato in chiaro rilievo e rivela gli atteggiamenti e le tendenze che erano nascosti. In tempo di pace il senso dello Stato diminuisce in una repubblica non militarizzata. Perché la guerra è essenzialmente la salute dello Stato. L'ideale dello Stato è che all'interno del suo territorio il suo potere ed influenza dovrebbero essere universali. Così come la Chiesa è il mezzo per la salvezza spirituale dell'uomo, dello Stato si pensa che sia il mezzo per la sua salvezza politica. Il suo idealismo è sangue ricco che fluisce in tutti i membri del corpo politico. Ed è precisamente in guerra che l'urgenza dell'unione appare maggiore e la necessità dell'universalità indubitabile. [...] Lo Stato si trasforma in ciò che in tempo di pace ha vanamente lottato per diventare: l'inesorabile giudice e pianificatore dei commerci, degli atteggiamenti e delle opinioni degli uomini.

Ed è veramente uno squallido spettacolo quello di uno stato che, sempre più rapidamente, si avvia verso il suo destino di distruzione. I proclami, le accuse, le provocazioni si accavallano in un crescendo propagandistico che finisce per coinvolgere le masse: l'individuo, sotto la pressione della rabbia e del terrore perde progressivamente la capacità di analisi razionale e, abbandonatosi alle pulsioni emotive si trasforma in uomo-massa, perfetto strumento nelle mani del potere. Non c'è altra strada percorribile, non c'è alternativa, non c'è possibilità di accordo, perché il nemico ha caratteristiche disumane, bestiali, diaboliche.

Diventa facile quindi per lo stato scaricare le proprie colpe all'esterno. L'insolubile dissesto finanziario di cui esso è responsabile viene attribuito alle manovre del nemico ed alla necessità di contrastarlo – per proteggere la nazione, ça va sans dire – comoda via d'uscita per la classe dirigente, che non deve più temere gli inevitabili sviluppi del ciclo economico, vera e propria “soluzione finale” al vicolo cieco dell'economia pianificata e dei soldi finti. In fondo, se si vuole evitare che i nodi vengano al pettine basta rasarsi a zero.


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