Tuesday, July 31, 2007

Ritorno agli anni '30

Premetto che non condivido tutto l'entusiasmo di Rockwell per Ron Paul, per quanto possa sottoscrivere buona parte del suo pensiero, ma questo articolo mi è parso degno di nota per il parallelo storico e l'ottima sintesi, quasi visiva, del momento che stiamo vivendo. Per quanto riguarda Paul, è l'unico che riporterebbe a casa i soldati e già solo per questo bisognerebbe sperare. Ma a parte il fatto che – tocchiamo ferro – se davvero venisse eletto e si provasse a fare la metà di quel che dice durerebbe meno di papa Luciani, il mio dubbio è: se il problema è il governo federale, come ci si può attendere da esso, o tramite esso, la soluzione? Comunque sia, mando anch'io il mio augurio a Ron Paul, sperando non si riveli anche lui un “uomo forte”.
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Llewellyn H. Rockwell, Jr.


Mercati azionari nevrotici, un'economia ubriaca di credito e politici che reclamano vari tipi di dittatura: ché senso di déjà vu! Ricordiamoci che allora il mondo andò via di testa per circa dieci anni. Il mercato azionario crollò nel 1929, grazie alla Federal Reserve e con esso caddero gli ultimi resti della vecchia ideologia liberale secondo cui il governo dovrebbe lasciare la società e l'economia da sole per farle fiorire. Dopo che la Grande Depressione federale ebbe colpito, negli Stati Uniti e in Europa circolava l'idea che la libertà non aveva funzionato. Ciò di cui avevamo bisogno erano uomini forti che controllassero e pianificassero economie e società.

E come sono stati adorati. Dall'altro lato del mondo c'erano Stalin, Hitler e Mussolini, ma anche negli Stati Uniti non ci siamo fatti mancare niente. Qui abbiamo avuto FDR, che si immaginava capace di fantastiche abilità di regolazione dei prezzi e di spinta all'economia. Ovviamente usò dei vecchi trucchi: stampare soldi e minacciare la gente con le pistole. Non era altro che l'antico dispotismo recuperato in veste pseudo-scientifica.

Le cose non tornarono alla normalità che fino a dopo alla guerra. Questi “grandi uomini” dalla storia furono alla fine travolti, ma guardate cosa ci hanno lasciato: previdenza sociale, sistemi bancari inflazionistici, imposte elevate, debito enorme, regole sul commercio e regimi con una tendenza ad intromettersi al primo segnale di difficoltà. L'ebbero vinta loro anche se la loro assurda ostentazione passò più tardi di moda.

È strano tornare a leggere articoli di opinione di quei tempi. È come se tutti avessero semplicemente deciso che dovevamo avere o il fascismo o il socialismo e che l'opzione da eliminare fosse il "laissez faire". La gente come Mises e Hayek dovette combattere con le unghie e con i denti per ottenere un'audizione. Tra gli americani ci furono alcuni giornalisti che sembravano capire, ma erano pochi e isolati.

Così, qual era la giustificazione per un periodo così misero nella storia ideologica? Perchè il mondo impazzì? Era la Grande Depressione, come dire: la spiegazione abituale. La gente soffriva ed era in cerca di risposte. Si rivolsero ad un uomo forte per tirarli fuori dai guai. C'era una fascinazione per la pianificazione scientifica e la sofferenza dell'economia (causata dal governo, naturalmente) sembrava confermare tale razionale.

Tutto ciò mi porta ad una strana osservazione: quando si arriva alla politica, oggi non siamo messi molto meglio. È vero che non abbiamo gente in giro per gli uffici in ridicole uniformi militari. Non ci gridano in faccia, non fanno sdolcinate chiacchierate del focolare e non pretendono di essere la mente sociale incarnata. I toni sono leggermente cambiati, ma le note ed i ritmi sono gli stessi.

Avete ascoltato con attenzione cosa stanno proponendo i democratici sulla strada verso le elezioni presidenziali? È disgustoso proprio come qualcosa sentito negli anni '30: infiniti programmi di governo per risolvere tutti i mali dell'uomo. È come se non potessero pensare in altra maniera, come se la loro intera visione del mondo dovesse collassare se si accorgessero del fatto che il governo non può fare una cosa giusta.

Ma sembra inoltre che stiano vivendo su un altro pianeta. Il mercato azionario può cadere a lungo prima che raggiunga un punto che potremmo denominare basso. Gli interessi sui mutui stanno strisciando ai più bassi tassi possibili. La disoccupazione è vicina al 4%, più bassa di quanto persino i vecchi keynesiani potrebbero immaginare nei loro sogni più sfrenati.

Il settore privato sta creando un miracolo al giorno, nonostante i tentativi del governo falliscano a destra e a manca. Le burocrazie sono dispendiose ed inutili come mai sono state, la spesa è già insanamente alta, il debito sfreccia nel cielo e non c'è modo di trovare un americano che creda di essere sotto-tassato.

I democratici, nel frattempo, continuano il loro allegro lavoro come se le “scuole pubbliche” fossero un modello per tutta la società. Oh, e non dimentichiamo la loro brillante idea di bloccare l'economia industriale e la prosperità degli uomini in modo che il governo possa progettare il tempo per 100 anni da oggi. Possiamo soltanto sperare che ci sia abbastanza gente seria a sinistra per mettere un freno a questa stramba idea.

Ma prima di lasciarci deviare dai democratici, diciamo alcune parole sui repubblicani assetati di sangue, che pensano alla guerra non come a qualcosa di cui rammaricarsi, ma piuttosto come alla vera vita morale della nazione. Per loro, giustizia è uguale a Guantánamo Bay e politiche pubbliche significa una nuova guerra ogni mese e ampie sovvenzioni al complesso militar-industriale ed altre simili imprese amiche dei repubblicani come le grandi farmaceutiche. Certo, mostrano rispetto formale alla libera impresa, ma per loro è giusto uno slogan, usato ogni volta che temono di perdere il supporto della classe mercantile borghese.

Così ecco cosa abbiamo. I nostri tempi sono buoni, ma affrontiamo una scelta fra due forme di pianificazione centrale. Sono varietà di socialismo e fascismo, ma non palesi: travestono le loro convinzioni ideologiche così da non farci riconoscere che loro e il loro genere hanno certi predecessori nella storia dell'economia politica.

In questo intreccio avanza Ron Paul, con un messaggio che ha stupito milioni. Ripete ancora e ancora che il governo non è la via d'uscita. E anche se la sua vita politica non manca di eroismo, non crede che la sua candidatura abbia a che fare con lui e con le sue ambizioni personali. Parla di Bastiat, di Hazlitt, di Mises, di Hayek e di Rothbard – nei discorsi pubblici della campagna! E non lasciate che nessuno creda che è solo retorica. Date un'occhiata alle registrazioni dei suoi voti se ne dubitate. Anche il New York Times è stupito di scoprire che c'è un uomo di principi nella politica.

È impressionante come le masse siano pressate a non essere d'accordo con lui. Quanto bene sta facendo? È impossibile esagerarlo. Riporta la speranza quando ne abbiamo più bisogno. Vedete, l'economia americana può sembrare buona in superficie ma sotto, le fondamenta stanno cedendo. Il debito è insostenibile. Il risparmio è quasi inesistente. La creazione di massa monetaria sta diventando spaventosa. L'economia dei soldi di carta non può durare e non durerà. Si percepisce come il minimo cambiamento potrebbe causare un crollo imprevisto.

Che cosa accadrebbe se dovesse crollare il fondo? Terribile pensiero. Abbiamo bisogno di più portavoce pubblici che mai per la nostra causa. In molti sensi, il Mises Institute porta una pesante responsabilità come prima voce istituzionale del mondo per la pace e la libertà economica. E stiamo lavorando in ogni maniera possibile per assicurarci che la fiaccola della libertà non si estingua, anche di fronte alle legioni dei ciarlatani e dei potenti. Anche se la politica del nostro periodo è quanto mai oscura, ci sono delle luci che brillano all'orizzonte.
[Speriamo non sia un camion, NdT]

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Link all'articolo originale.

Llewellyn H. Rockwell, Jr. è il presidente del Ludwig von Mises Institute di Auburn, in Alabama, redattore di LewRockwell.com ed autore di Speaking of Liberty. Vedi il suo archivio su Mises.org. Mandagli una mail. Commenta sul blog.

Zabriskie Point

Sempre ieri, scena finale anche per Antonioni.

Monday, July 30, 2007

Il Silenzio

“When I was young, I was extremely scared of dying. But now I think it a very, very wise arrangement.
It’s like a light that is extinguished. Not very much to make a fuss about.”
(Ingmar Bergman)
Oggi, 30 luglio 2007, nell'isola di Faro sul Baltico, la luce di Ingmar Bergman si è spenta.

La sordina

“See, in my line of work you got to keep repeating things over and over and over again for the truth to sink in, to kind of catapult the propaganda.”
(George W. Bush)
Ci sono notizie che conquistano le prime pagine a titoli cubitali, che quando si sgonfiano, le smentite le devi cercare tra gli annunci personali e i necrologi. Sono le notizie del terrore, quelle del "vivono tra noi", dell'emergenza continua, degli arresti a tappeto, che tanto bene riescono a creare l'impressione di una società in pericolo, sotto la minaccia di assassini fanatici e inafferrabili: sì, perché quelli che invece vengono fermati, di solito non sono quelli giusti. Ed è allora che la montagna di inchiostro della "prima" si trasforma nel trafiletto-topolino delle pagine interne, giusto per coltivare l'illusione di fare informazione senza disfare il mostro appena creato nell'immaginario collettivo.

L'ultima notizia in ordine di tempo riguarda il rilascio del medico indiano arrestato in Australia, ma è solo una tra le tante, tanto numerose quanto nascoste.
Cadono le accuse di "supporto terroristico" nei confronti di Mohamed Haneef, il medico indiano fermato dalla polizia australiana all'aeroporto di Brisbane, all'indomani dei falliti attentati di Londra e Glasgow.
Il Direttore dei pubblici ministeri del Commonwealth, Damian Bugg, ha ritirato le accuse contro il medico ammettendo che "si è trattato di un errore".
Haneef era stato accusato di "supporto a gruppo terroristico", dopo che una sua scheda telefonica era stata trovata in possesso di uno degli attentatori di Glasgow, suo cugino di secondo grado. Detenuto dal 2 luglio, incriminato soltanto dopo 12 giorni, Haneef è stato anche privato del permesso di lavoro.
Superfluo sottolineare il disprezzo che lo stato mostra per i diritti umani di cui si proclama ad ogni occasione strenuo difensore, ma che non tarda mai di negare in nome della sicurezza nazionale e del bene comune che tanto comune non è, visto che non comprende gli arrestati ingiustamente. E poco alla volta, grazie alla propaganda e alla paura da essa generata, il bene comune comprende sempre meno persone: tutti siamo in pericolo, perché tutti sono sospetti, questo è l'assioma che la grancassa dei media pompa nel pubblico con le prime pagine sulle clamorose operazioni di polizia, sulle retate, sugli insospettabili dalla doppia vita. Salvo poi smentire in sordina, pro forma, là dove non leggerà nessuno a parte i paranoici di internet.

Il sistema è ormai tanto abusato, che la natura propagandistica dell'informazione mainstream, il suo essere un meccanismo orwelliano di revisione del passato e di continua creazione del presente, è diventata esplicita, addirittura plateale. Ma se lo può permettere: il suo pubblico, nella gran maggioranza, non ha gli strumenti per accorgersene. Sarebbe da ingenui, del resto, aspettarsi di riceverli dalla scuola pubblica, che è piuttosto il primo stadio della programmazione mentale di stato in questo grande esperimento sociale in cui tutti siamo immersi.

Sullo stesso argomento:

Amman 11/9
Vivere in emergenza

Il leader di Al Qaeda era un attore


Sunday, July 29, 2007

Il caropasta

Per chi ha seguito le vicende dei bio-combustibili la notizia della prossima “stangata (20% in più, un nonnulla) su pane, pasta e dolci non dovrebbe essere una gran sorpresa. Potrebbe esserlo però la spiegazione dello strano fenomeno data dal ministro delle Politiche Agricole De Castro, che pare avere le idee molto chiare in proposito:
Prezzi: De Castro, Rincari Pane e Pasta? Colpa Della Cina (AGI) - Roma, 28 lug. - La pasta, il pane, la farina e la uova costeranno di piu' a settembre? Per il ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro, la colpa e' della crescita del fabbisogno alimentare della Cina, che "con un aumento dell'11% del suo Pil - spiega all'Agi - ha contribuito al rincaro delle materie prime, dei generi alimentari, e alla carenza nella produzione cerealicola, soprattutto quella del grano duro, che in Italia copre solo la meta' dell'offerta richiesta".
Ormai siamo alla farsa: ogni qual volta la verità non si può dire – quasi sempre, quindi – si tirano in mezzo i cinesi, la colpa è sempre dei cinesi! Io mi domando se questo cosiddetto ministro creda di essere a Zelig, se pensa di essere divertente, forse. Ma se ormai lo sa tutto il mondo che il prezzo dei cereali è aumentato insieme alla produzione di bio-combustibili!

Capisco che non si possa dire, visto che il governo ci ha investito svariate centinaia di milioni, per il nostro bene e soprattutto per quello del pianeta, ma insomma, trovate almeno una scusa migliore la prossima volta. Anche perché, rendetevene conto, le pance di milioni di italiani privati della loro dose di pasta quotidiana sono cattive consigliere, e anche il randagio più sottomesso e vigliacco, quando ha fame addenta la mano del padrone.

«I solemnly and formally take possession of all this land»

Herzog, Kinski: Aguirre. C'è altro da dire?

Saturday, July 28, 2007

Piccolo Glossario della Neolingua #3


Terza “attesa” puntata del nostro piccolo glossario.
È il momento di uno dei pezzi pregiati della collezione, un vero capolavoro, in cui i maestri ingegneri sociali dimostrano tutto il loro talento e la loro perizia.
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Solidarietà
Significato originario:
1a armonia perfetta, concordia con altri nel modo di pensare, di sentire, di agire o condivisione degli impegni e delle responsabilità assunte insieme ad altri a cui si è legati da rapporti di affinità ideologica o da comuni interessi | capacità dei membri di un determinato gruppo di prestarsi reciproca assistenza e il comportamento che ne deriva: s. di classe, umana
1b partecipazione umana e morale o impegno diretto offerti a chi è in una situazione critica o dolorosa: gesto, manifestazione di s., esprimere la propria s. ai parenti delle vittime

Questa è una delle mutazioni linguistiche più obbrobriose, poiché trattasi di uno dei valori più belli, più intrinsecamente umani, le cui profonde radici nell'animo degli uomini vengono sfruttate per veicolare la dottrina statalista e colpevolizzante.

Basterebbe leggere bene la descrizione del significato di questa parola, per rendersi conto di quanto poco si adatti alla sedicente solidarietà di stato, che si traduce in pratica nella redistribuzione forzata delle risorse di persone che non hanno nulla in comune tra loro – tranne, appunto, l'essere defraudate dallo stesso stato – teoricamente per "aiutare chi è in difficoltà," ma è ben difficile credere che il pensionato a 800 euro al mese non sia in difficoltà, ma che anzi, debba versare il suo congruo contributo (questa la vediamo la prossima volta) per aiutare qualcuno messo peggio di lui, difficile poiché vallo a trovare qualcuno messo peggio di un pensionato con la minima...

Una volta forgiata l'identificazione di solidarietà – sentimento che in tutti è naturale – con la solidarietà di stato, e su questo lo stato lavora alacremente fin dalla scuola, diventa facile far accettare l'idea della solidarietà a lungo raggio, da esercitare a distanza, verso persone di cui non si sa che ciò che si racconta, ma nei confronti delle quali ci dobbiamo sentire in colpa a causa della nostra migliore qualità della vita. Anche se, ovviamente, non c'è nessun filo diretto, nessuna espropriazione, tra me e qualunque altra persona più povera di me: fino a prova contraria, tutto ciò che uso e consumo l'ho pagato con il mio lavoro, grazie al quale ho pagato anche per innumerevoli interventi di solidarietà in giro per il mondo, alla faccia del senso di colpa!

Come sempre, tanta sperimentazione linguistica, oltre a prendere in ostaggio la comunicazione, sortisce effetti secondari ma non meno gravi. In questo caso, l'effetto di gran lunga peggiore è l'eliminazione nella società della solidarietà vera, quella che ti lega al tuo vicino, ai tuoi conoscenti, alla città in cui vivi. Innanzitutto perché sottrae alla fonte risorse che quindi non sono sufficienti per garantire l'esercizio individuale e spontaneo della solidarietà, ma anche per l'abitudine alla delega che instilla nell'animo dei sudditi.
Con le parole di Albert Jay Nock, già citato in un articolo precedente:
Quindi quando un mendicante ci chiede un ventino, il nostro istinto è di rispondere che lo Stato ha già confiscato il nostro ventino per il suo bene e che per questo dovrebbe rivolgersi allo Stato.
E così mentre l'idea di solidarietà spontanea viene estirpata metodicamente, sostituita dall'idea che la solidarietà sia una illuminata legge dello stato che dall'alto della sua autorità e saggezza la infonde nell'organismo sociale per renderlo più sano e coeso, telegiornali e periodici si interrogano sull'inspiegabile epidemia di indifferenza e di aggressività nella società civile, ignari della semplice verità per cui togliendo all'uomo i valori che lo rendono tale, non ci si può certo attendere maggiore umanità per le strade.

Ma poco male, se la cura soft omeopatica dovesse fallire, c'è sempre pronta la terapia-shock a base di anticorpi muniti di taser: quella che se l'organismo sopravvive, magari riesce pure a guarire.

Friday, July 27, 2007

Schiavi o no?


“The entrepreneur controls the factors of production; it is this control that brings him either entrepreneurial profit or loss.”
(Ludwig von Mises, Human Action, p. 302)

Nei commenti al post sul profitto si è sviluppato un interessante mini-dibattito, non privo di colpi di scena, sulla possibile equivalenza tra lavoro salariato e schiavitù. Premesso che non considero tale equivalenza valida in teoria, mi interessa però trovare un punto di sintesi, anche perché a me sembra che la verità stia da ambo le parti, e provo a spiegarne il motivo.

Un errore che si commette spesso discutendo del sistema capitalista è il non considerare che quello in cui viviamo ha poco a che fare con il sistema regolato dal libero mercato descritto dagli austriaci: lo stato è ovunque, dalla prima tazzina di caffè al bar fino al rapporto con i propri figli, ha invaso e deviato ogni campo dell'attività umana. Non ha molto senso, quindi, né criticare il capitalismo né difenderlo, se il capitalismo a cui si fa riferimento è quello in cui ci troviamo a vivere, in cui i pochi pesci grossi si sono avvalsi della complicità dello stato per imporre la propria legge al mercato.

Nel capitalismo di Mises, ciascuno è libero e ha la possibilità di costruire il suo destino grazie al lavoro e al risparmio (capitale), cioè a quella capacità di operare una scelta temporale nell'impiego delle risorse a sua disposizione. Tant'è vero che per la scuola austriaca l'uomo è soprattutto imprenditore, parola anche questa deformata dalla neolingua ma che in realtà definisce colui che si dedica ad un'impresa, ed è una bella definizione per l'uomo. Chi già possiede le risorse necessarie, quindi, può cominciare la sua impresa, chi ancora no, può fornire il suo lavoro per aiutare le imprese altrui, e accumulare esperienza e risorse per dare il via, a sua volta, alla sua personale avventura. Tutto molto bello, finché ovviamente non appaiono terze parti a reclamare percentuali del frutto del lavoro: per esempio, chi offre le sue prestazioni può decidere di metter su famiglia, e con moglie e figli da mantenere se ne vanno le risorse che avrebbero dovuto sostenere la sua futura impresa, ma questo è un ostacolo risultato di una scelta, di chi preferisce in fondo un'impresa (la famiglia) ad un'altra (professione). L'uomo in questione limita in certo modo la sua libertà, ma lo fa di sua volontà, coscientemente.

Diverso è il caso della terza parte chiamata stato, che pesa come e più di una moglie sul bilancio di ciascuno, senza scaldarti il letto e il cuore. In questo caso, la possibilità di chi non ha risorse in partenza, di chi è povero, di poter un giorno costruirsi un'impresa (anche solo l'impresa “famiglia”) sono praticamente nulle. Alla sottrazione diretta dalle sue risorse di capitale – di per sé già minimo – si aggiunge inoltre la particolare condizione del mercato provocata da tale furto su scala universale: sovrabbondanza di manodopera per le imprese già esistenti, quindi minor potere contrattuale dei salariati e salari più bassi, quindi ancora meno possibilità di veder nascere nuove imprese.

Chi parte da zero, in questa situazione, ha minime speranze di poter intraprendere individualmente, per quanto lo possa desiderare. In questo senso, nel suo prestare la sua opera alle imprese altrui, ha il pieno diritto di considerarsi uno schiavo, anche se non uno schiavo in senso classico: non è stato strappato alla sua terra in catene, può liberarsi in qualsiasi momento dal suo contratto... ma non ha alternative. E le alternative, come ciò che dà un senso all'agire dell'uomo che sceglie liberamente un'impresa piuttosto che un'altra, non sono forse alla base della teoria austriaca?

Ma appunto, il capitalismo attuale ha ben poco a che vedere con tale visione, e chi considera come vero capitalismo quello di Mises dovrebbe estendere la sua critica dallo stato anche al mondo dell'impresa nella sua condizione attuale: perché se è lo stato a decidere la distribuzione del capitale – e su questo mi pare che ci possano essere ben pochi dubbi – allora le imprese di maggior successo sono quelle che dello stato sono o sono state complici, che hanno un qualche accesso alle leve del potere, così come lo stato da parte sua mantiene un controllo sui fattori di produzione che per Mises dovrebbe essere tutto nelle mani dell'imprenditore.

In altre parole, difendere l'idea di impresa è e deve essere ben diverso dal difendere l'impresa così com'è oggi, anche se, è chiaro, non si può per questo condannarne una qualsiasi a prescindere: è possibile che un'impresa riesca ad avere successo pur non essendo complice dello stato e nonostante il salasso continuo da esso praticato. Può riuscirci in due modi: 1) grazie a capacità eccezionali dell'imprenditore e, più probabilmente 2) tagliando i costi finché possibile. Questo penalizza ancor di più i lavoratori, che a questo punto ricevono con favore misure quali il salario minimo, il quale però, come tutte le soluzioni offerte dallo stato, finisce per essere peggiore del male: il risultato che si ottiene, infatti, è la perdita secca dei posti di lavoro.

In conclusione, non c'è nulla di sbagliato nel rapporto tra datore e prestatore di lavoro, ma solo in un mercato e in una società liberi, quindi per il momento solo nella teoria. Alla stessa maniera, tale rapporto attualmente si distingue a fatica dalla schiavitù (una specie di schiavitù piramidale, per gradi), ma non dovrebbe sorprendere visto che la schiavitù è legalizzata, promossa ed imposta in primo luogo dallo stato, subdolamente ma molto efficacemente. Tra le poche cose che allo stato riescono bene, l'eliminazione della libertà è sicuramente tra le prime.

«Figli miei che non siete padroni di un cazzo!»

Un grande monologo di Flavio Bucci, con contorno di Albertone, ne Il Marchese del Grillo di Mario Monicelli.

Thursday, July 26, 2007

Un “sistema” di lavoro

Questa è bella davvero! Testuali parole del capo della polizia, Antonio Manganelli, nel suo intervento alla commissione Affari costituzionali della Camera:
Quanto al dibattito se il pericolo venga da Al Qaeda o dal cosiddetto terrorismo ‘fai da te’, il capo della polizia ha richiamato le parole di un ideologo nordafricano che parla di “sistema e non organizzazione”.
Questo “significa – ha spiegato – che non esiste un’organizzazione strutturata come Cosa nostra che ha le sue filiali ufficiali nei vari paesi, ma c’è un sistema operativo non meno pericoloso, una sorta di franchising, c’è il marchio di Al Qaeda, il che non significa che tutto quanto viene fatto viene preventivamente benedetto dal vertice di un’organizzazione che riteniamo non esiste”.
Non è comunque il primo ad esprimere un simile punto di vista...

Sky News said police identified the fourth bomber as Lindsey Germail, a Jamaican-born Briton in his 30s who may have been responsible for the blast at King's Cross station. Metropolitan Police Commissioner Ian Blair (search) declined to comment on the report. [...]

Commenting on the possible role of Al Qaeda, Blair said, "Al Qaeda is not an organization. Al Qaeda is a way of working ... but this has the hallmark of that approach."
In pratica, dopo aver creato il mostro, se ne modificano le fattezze, fino a fargli impersonare l'essenza stessa del male, che essendo incorporea, può trovarsi ovunque, anche negli insospettabili: how convenient, liberando il termine dai limiti che ne definiscono il senso esso si allarga a comprendere chiunque, soprattutto i chiunque che per qualche motivo dovessero dare fastidio...

Il fatto poi che tale mutazione di significato neghi il teorema alla base della "guerra al terrore" non è preso neanche in considerazione, si conta sulla scarsa memoria della massa e sulla provata capacità di riscrivere il passato ed imprimerlo nelle teste dei sudditi.
È sempre neolingua e bispensiero...

Economia, Filosofia, e Politica

Hans-Hermann Hoppe intervistato il 25 febbraio 2004 da Emrah Akkurt, dell'Associazione Turca per il Pensiero Liberale. Hans-Hermann Hoppe è professore di economia all'Università del Nevada, a Las Vegas, Senior Fellow del Ludwig von Mises Institute e redattore del Journal of Libertarian Studies. Il suo libro più recente è Democrazia: Il Dio Che Ha Fallito ed è redattore de Il Mito della Difesa Nazionale.

Il suo sito personale è
www.HansHoppe.com.
(Scarica il pdf.)
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Akkurt: Come siete diventato un libertario e quali sono stati i pensatori più importanti nel formare le vostre idee?

Hoppe: Da giovane “ginnasiale” in Germania, ero marxista. Poi, come studente all'università di Francoforte, incontrai la critica a Marx di Boehm-Bawerk e con essa finì per me l'economia marxista. Di conseguenza, per un periodo diventai un tipo di scettico, attratto dalla metodologia Popperiana positivista ed in particolar modo falsificazionista ed al programma di Popper di ingegneria sociale frammentaria. Come Popper stesso, al momento ero un democratico della destra sociale. Poi le cose sono cambiate velocemente. In primo luogo ho incontrato Milton Friedman (piuttosto buono), quindi Hayek (migliore), Mises (ancora di gran lunga il migliore, a causa della sua esplicita metodologia-anti-positivista-aprioristica) e infine, il più importante successore teorico di Mises, Murray N. Rothbard.

Akkurt: In che misura la vostra educazione scolastica coincide con il vostro essere un libertario?

Hoppe: Non ho imparato il libertarianismo o l'economia del libero mercato all'università. I miei professori erano socialisti o interventisti. Certo, (anche se di rado) i nomi di alcuni sostenitori del libero mercato venivano occasionalmente accennati: Boehm-Bawerk, Mises, Hayek, anche Herbert Spencer come sociologo. Tuttavia, venivano scartati come antiquati apologeti del capitalismo, indegni della seria attenzione di qualcuno. Così ho dovuto scoprire bene o male tutto per conto mio attraverso una quantità di letture (molte delle quali a posteriori si sono rivelate uno spreco di tempo). Oggi, potete cliccare su www.mises.org e tutto è sotto alle vostre dita. Le cose sono decisamente migliorate a questo proposito.

Akkurt: Durante i primi anni del secolo, gli economisti “capitalisti” erano in una posizione di apologeti. Ciò è vero specialmente prima che cominciassero le critiche di Mises. I testi di Mises furono decisivi nel portare i socialisti all'odierna posizione di “apologeti”. I testi di Mises inoltre hanno condotto ad un'economia austriaca distinta, separata dal paradigma neoclassico. Durante la vostra educazione scolastica, avete pensato che l'economia austriaca è, o avrebbe dovuto essere, distinta dal pensiero neoclassico. Qual è stato il processo del passaggio dalla critica ad un metodo alternativo?

Hoppe
: Fino agli anni '50, la maggior parte degli economisti condivideva l'opinione riguardo alla natura dell'economia espressa da Lionel Robbins, nella suo famoso Natura ed Importanza della Scienza Economica (1932). Robbins, che era stato al tempo influenzato pesantemente da Mises, presentò l'economia come una certa specie di logica applicata (Mises la chiamerebbe “prasseologia”). Cominciava con alcuni premesse semplici ed ovviamente vere (assiomi), quindi giungeva per mezzo della deduzione logica a varie conclusioni (teoremi economici). Queste conclusioni o teoremi erano, premesso che non fossero stati commessi errori nel processo di deduzione, logicamente veri e sarebbe un errore di categoria se uno desiderasse la “prova empirica” di tali teoremi. (Non chiediamo la “prova empirica” per le verità e gli argomenti logici, o le proposizioni matematiche. Per esempio, non verifichiamo empiricamente la legge di Pitagora, possiamo dimostrarla deduttivamente, e colui che volesse “dimostrarla” empiricamente, misurando angoli e lunghezze, non sarebbe considerato “più scientifico” ma piuttosto come totalmente confuso). Oggi solo gli “austriaci” difendono ancora questa (dal mio punto di vista corretta) visione dell'economia come logica applicata.


Dagli anni '50, in gran parte per l'influenza di Milton Friedman, la maggioranza degli economisti hanno adottato preferibilmente la visione “positivista” per cui l'economia dovrebbe provare ad imitare i metodi impiegati nella fisica. Di conseguenza, l'economia moderna è diventata matematica di basso livello senza significato empirico o applicazione che dir si voglia. Oppure costruisce ed esamina i cosiddetti modelli, “provando” così (nel migliore dei casi) ciò che è già evidente a tutti, come l'acqua che scorre verso il basso, o mostrando attraverso i mezzi empirici ciò che può essere stabilito logicamente (come confermare la legge di Pitagora empiricamente). Tuttavia, in molti casi e con lo stesso metodo, “provano” empiricamente che l'acqua talvolta scorre verso l'alto e, assurdamente, che la legge di Pitagora non sempre funziona. In breve, la moderna economia mainstream è in uno stato di confusione totale.

Quando cominciai a studiare economia mi venne insegnata la metodologia positivista insieme ad essa. Tuttavia, fin dall'inizio non ero convinto. La legge di utilità marginale, o la teoria della quantità di moneta, o la constatazione che se uno aumentasse lo stipendio minimo negli Stati Uniti a $500 l'ora ne risulterebbe disoccupazione di massa, non mi apparivano come ipotesi discutibili che richiedono prova empirica, ma come verità logiche dirette. Mi ci volle qualche tempo per scoprire che questa era in effetti la visione classica, sposata più esplicitamente da Robbins e da Mises. Scoprire Mises e Robbins fu per me un grande sollievo intellettuale e per la prima volta mi fece prendere (e studiare) seriamente l'economia.

L'economia tradizionale è irrilevante, ma aperta all'idea della sperimentazione e dell'ingegneria sociale (come altrimenti provare le proprie ipotesi?). Ecco perché lo stato interventista moderno è disposto a finanziare l'intero esercizio. In contrasto, l'economia austriaca è di grande importanza pratica, ma si oppone generalmente all'interventismo economico come controproduttivo. Non sorprende, allora, se l'EA riceve poco o nessun supporto dallo stato. Ciò nonostante, sono ottimista che l'economia tradizionale finalmente morirà a causa della sua propria irrilevanza (articoli in famose pubblicazioni tradizionali non hanno praticamente lettori) e sarà spodestata dall'EA. Già ora, il sito dell'Istituto Mises ha più lettori di qualsiasi sito paragonabile di economia mainstream.

Akkurt: Nella sua versione moderna, l'economia austriaca, con la sua enfasi su diritti di proprietà, attività imprenditoriale e libertà hanno alleati naturali fra scuole differenti di economia. Per esempio, l'approccio ai diritti di proprietà di Alchian e Coase arriva per gran parte a posizioni politiche simili a quelle austriache. Pensate che i testi di Mises abbiano influenzato in qualche modo l'enfasi sui diritti di proprietà e l'approccio basato sul mercato oltre agli austriaci, c'è un collegamento visibile fra Mises ed alcune di queste persone?

Hoppe
: Non sono informato di alcun collegamento intellettuale fra Mises e la moderna scuola di legge ed economia di Chicago, in particolare Coase e nella sua traccia, Richard Posner. D'altra parte, Hayek era uno dei professori di Coase alla scuola di economia di Londra.
Comunque: credo che la somiglianza fra la visione austriaca della legge e dell'economia e quella di Chicago sia soltanto superficiale. In realtà, le due tradizioni intellettuali sono opposte fondamentalmente l'una all'altra. È un errore comune ma serio pensare alla scuola di Chicago come difensore dei diritti di proprietà. Infatti, Coase ed i suoi seguaci sono i nemici più pericolosi dei diritti di proprietà. Lo so, questo può suonare incredibile a qualcuno. Mi lasci quindi spiegare, usando uno degli esempi di Coase dal suo famoso articolo sul “costo sociale.”

Una ferrovia funziona al lato di un podere. Il motore emette scintille, che danneggiano il raccolto del coltivatore. Cosa si deve fare? Dal punto di vista austriaco (il classico così come quello dettato dal senso comune), ciò che è necessario sapere è chi ha stabilito la proprietà in primo luogo, il coltivatore o la ferrovia? Se il coltivatore è stato il primo, potrebbe forzare la ferrovia a smettere di emettere scintille o richiedere una compensazione. D'altra parte, se la ferrovia è stata la prima, può continuare ad emettere scintille ed il coltivatore dovrebbe pagare la ferrovia se volesse liberarsi dalle scintille.

La risposta di Posner e Coase è interamente differente. Secondo loro, è un errore pensare al coltivatore ed alla ferrovia come “nel giusto” o “nel torto” (responsabile), come “aggressore” o “vittima.” Lasciatemi citare Coase fin dall'inizio del suo famoso articolo. Dove dice che “la domanda a cui si pensa comunemente è una in cui A infligge un danno a B e ciò che si deve decidere è, come dovremmo limitare A? Ma questo è errato. Abbiamo a che fare con un problema di natura reciproca. Evitare il danno a B sarebbe infliggere un danno ad A. La domanda reale che deve essere decisa è, dovrebbe essere permesso ad A di nuocere a B o dovrebbe essere consentito a B un danno ad A? Il problema è evitare il danno più serio.” O messo diversamente, il problema è elevare il valore della produzione o della “ricchezza.” Secondo Posner, tutto ciò che aumenta la ricchezza sociale è giusto e tutto ciò che non lo fa, è ingiusto. Il compito dei tribunali, quindi, è di assegnare i diritti di proprietà (e responsabilità) alle parti in contestazione in modo tale che “la ricchezza” sia massimizzata.

Applicato al nostro caso questo significa: se il costo di impedire le scintille è minore della perdita del raccolto, allora la corte dovrebbe parteggiare per il coltivatore e giudicare la ferrovia responsabile. Altrimenti, se il costo di impedire le scintille è superiore alla perdita nei raccolti, allora la corte dovrebbe parteggiare per la ferrovia e giudicare il coltivatore responsabile. Ma più importante, questo significa inoltre che i diritti di proprietà (e responsabilità) non sono più qualcosa di stabile, costante e fisso ma sono invece diventate qualcosa di “variabile.” Le corti assegnano i diritti di proprietà secondo i dati del mercato. E se questi dati cambiano, le corti possono riassegnare tali diritti. Cioè circostanze differenti possono condurre ad una ridistribuzione dei titoli della proprietà. Nessuno può mai esser sicuro della sua proprietà. L'incertezza legale è resa permanente.

Questo non sembra nè giusto nè economico. In particolare, questo modo “variabile” di assegnazione dei diritti di proprietà certamente non condurrà ad una massimizzazione di lunga durata della ricchezza.

Akkurt: In alcuni dei vostri lavori, date risalto al fatto che Hayek enfatizza il ruolo della conoscenza ed ignora o trascura la proprietà privata. Pensate che Hayek abbia ignorato deliberatamente e sottostimato il posto cruciale della proprietà privata? Descrivete brevemente ai nostri lettori il vostro punto di vista sulla proprietà e sulla conoscenza in un'economia imprenditoriale.

Hoppe
: Hayek fu effettivamente sempre, dai suoi anni da studente in poi, interessato nella psicologia. Ha scritto un libro interessante su di essa (Sensory Order). Ciò può spiegare la sua particolare enfasi sulla conoscenza e la sua relativa negligenza sulla proprietà. Per esempio, Hayek ha scritto un famoso articolo su “l'Uso della Conoscenza nella Società.” Mises non avrebbe mai scritto un articolo con quel titolo. Il suo titolo sarebbe stato “l'Uso della Proprietà nella Società.”


Nel famoso dibattito sul calcolo socialista, Hayek ha sostenuto spesso l'impressione che il problema centrale del socialismo era “l'impossibilità” di centralizzare in una singola mente (il pianificatore centrale) tutta la conoscenza che esiste dispersa nelle teste di un gran numero di individui separati. Quello che ho indicato io invece, in accordo con Mises, è che il problema centrale del socialismo è quello di centralizzare (concentrare) un gran numero di proprietà fisicamente disperse ed individualmente possedute nella proprietà di un'singola agenzia (dello stato socialista). È questa concentrazione di tutta la proprietà in una mano che rende il calcolo economico impossibile. Poiché dove c'è soltanto un proprietario di tutte i beni capitali, non c'è acquisto e vendita di tali merci; quindi, nessun prezzo dei beni capitali esiste ed il calcolo monetario è impossibile.

E per quanto riguarda la conoscenza speciale individuale, del tempo e del luogo, a cui Hayek dà risalto, è importante tenere presente che questa conoscenza è essenzialmente il risultato – o epifenomeno – di una diversità di fondo della proprietà privata. È la nostra proprietà ed il requisito di dover continuamente agire all'interno dei suoi vincoli, questo innanzitutto determina la conoscenza (al di là di un'abbondanza di conoscenza generale) che è importante per noi di avere e che successivamente dirige, modella ed individualizza i nostri interessi e la nostra ricerca di conoscenza.

Un imprenditore rischia la sua proprietà nel tentativo di soddisfare certi futuri, ipotetici compratori meglio di come fanno altri. Se riesce, guadagnerà un profitto, a significare che ha servito bene i consumatori. Se fallisce, avrà una perdita, a significare che ha servito male i consumatori. Poiché rischiano la loro stessa proprietà, gli imprenditori sono generalmente attenti e circospetti nei loro investimenti e cercano di evitare ogni spreco. I “cattivi” imprenditori (in perdita) prima o poi falliscono e diventano impiegati (anziché essere datori di lavoro) ed i loro beni capitali mal investiti saranno comprati (a prezzi propriamente ribassati) da altri o da nuovi imprenditori.

Per inciso: al contrario, i funzionari di governo non producono nulla che i consumatori richiedano (altrimenti non avrebbero bisogno delle tasse per finanziarsi; venderebbero semplicemente qualunque “bene” avessero da offrire e vivere del guadagno della vendita). I funzionari di governo spendono il reddito ottenuto con le tasse su ciò che loro pensano sia buono, non su ciò che i consumatori pensano. Inoltre, i funzionari di governo, che non spendono i loro soldi, ma i soldi presi coercitivamente da altri sotto forma di tasse, sono in genere trascurati e spreconi nell'amministrazione di tali fondi.

Akkurt: Qual è la vostra opinione sulla scuola della scelta pubblica. Se non vado errato criticate James Buchanan per aver difeso lo stato. Descrivete brevemente il vostro punto di vista sulla questione. Perchè c'è una tensione fra il vostro pensiero e la scelta pubblica?

Hoppe
: La scuola della scelta pubblica – soprattutto Buchanan e Tullock – è accreditata tipicamente per la constatazione che la gente all'interno del governo è tanto orientata verso l'interesse personale quanto la gente fuori del governo, cioè, nel commercio privato. Gli uomini non cambiano la propria natura e non sono meno interessati una volta diventati funzionari di governo.


Ora questa è naturalmente una constatazione fondamentalmente corretta. Ma questa constatazione non è nuova. Potete trovarla dappertutto nella letteratura. Certamente i sociologi politici “realisti” quali Gaetano Mosca e Robert Michels già lo sapevano e anche per gli “austriaci” era cosa nota, ovviamente.

Cosa c'è di nuovo nella scuola di Buchanan-Tullock è la sua teoria dello stato e dell'azione politica (come contrapposta a quella economica). Tuttavia, questa innovazione è palesemente falsa.

Buchanan e Tullock pensano che lo stato sia essenzialmente un'istituzione volontaria, alla pari con le ditte private di affari. Sostengono che “il mercato e lo stato sono entrambi dispositivi tramite cui la cooperazione è organizzata e permessa.” (Calcolo di Consenso, p. 19) E poiché lo stato è come una ditta, Buchanan allora conclude nei suoi Limiti della Libertà, qualunque cosa accada nella politica, ogni status quo, “deve essere valutato come se fosse legittimo contrattualmente.”

Ora, io considero tutto ciò come una pericolosa assurdità. Fino a Buchanan & Tullock, esisteva un accordo quasi universale, a prescindere se uno era un apologeta dello stato o un critico anarchico dello stato, riguardo alla natura dello stato, cioè cosa fosse realmente uno stato. Gli stati sono stati riconosciuti come forme di organizzazione categoricamente differenti dalle ditte: diversamente dalle ditte, ogni stato fondamentalmente si fonda sulla coercizione. L'affermazione del contrario di Buchanan avrebbe dovuto essere considerata come un errore intellettuale da bambini.

Il grande economista austriaco Joseph Schumpeter (un membro egli stesso della scuola di Losanna piuttosto che di quella di Vienna o austriaca) notò una volta su opinioni come quelle di Buchanan: “una teoria che intende le tasse sull'analogia dei debiti del club o sull'acquisto del servizio per esempio di un medico dimostra soltanto quanto lontana sia questa parte delle scienze sociali dalle abitudini scientifiche delle menti.” Mi unisco con tutto il cuore a questo verdetto.

Akkurt: Professor Hoppe, guardiamo ora ad argomenti più politici. Qual è il vostro parere come libertario circa l'intervento americano in Iraq. Pensate che gli eventi cominciati con l'11 settembre abbiano provocato una svolta sfavorevole per il pensiero libertario?

Hoppe
: I libertari hanno sempre saputo che le crisi, in particolare le guerre, sono un bene per lo stato ed un male per la libertà. Sotto la copertura di un'emergenza il potere dello stato aumenta e la libertà individuale è limitata. Questo è esattamente ciò che è accaduto negli U.S.A. dopo l'11 settembre, con il passaggio del cosiddetto Patriot Act, dell'istituzione di un ufficio di sicurezza della patria (Homeland Security), della quasi-nazionalizzazione degli aeroporti e della sicurezza negli aeroporti, ecc.


Inoltre, poiché le crisi sono buone per lo stato, gli stati spesso se non sempre fabbricano queste crisi. Per esempio, le prove sembrano ormai piuttosto convincenti che il presidente U.S.A. Roosevelt sapesse dell'attacco imminente del Giappone al porto di Pearl Harbor. Tuttavia, non fece nulla, perché voleva che l'evento accadesse, così da poter presentare “un motivo” al pubblico americano che gli permettesse di entrare nella seconda guerra mondiale – che era una cosa che voleva fare da parecchio tempo.

Per quanto riguarda l'Iraq, non tutto è ancora conosciuto. L'unica cosa certa è che il presidente Bush ed i suoi scagnozzi sono un branco di spudorati bugiardi. Ma questo difficilmente si può considerare una sorpresa. Per un bel po' di tempo, ho avuto l'abitudine di aspettarmi che le dichiarazioni di governo (negli Stati Uniti come dappertutto) fossero menzogne – finché non fosse stato provato il contrario. È diventato sempre più palese, che i bushimani [Bush-men, NdT] avevano deciso di andar a fare una lunga guerra all'Iraq prima dell'11 settembre. Ma senza l'11 settembre, sarebbe stato impossible farlo, a causa di una mancanza di sostegno alla guerra nell'opinione pubblica U.S.A. L'11 settembre ha fornito il “motivo” per effettuare l'attacco previsto. Naturalmente, questo vi fa chiedere se i bushimani – come Roosevelt – non sapessero dell'evento in anticipo e avessero deciso di usarlo a loro vantaggio. Non posso dire di conoscere la risposta a questa domanda. Nelle pubblicazioni tedesche, per esempio, è stato riportato che “l'intelligence” tedesca avvertì in anticipo e dettagliatamente gli Stati Uniti. Può occorrere molto tempo prima di scoprire cosa è accaduto realmente.

Comunque, l'attacco contro l'Iraq è stato il risultato di una strana mistura di zelo missionario evangelico, di sionismo e di imperialismo economico a muso duro (petrolio) messi assieme nel governo dei bushimani. L'Iraq era semplicemente l'obiettivo perfetto. Inizialmente, ci fu un sostegno considerevole negli Stati Uniti per la guerra in Iraq, anche se nessun collegamento è ovviamente mai esistito fra Osama bin Laden e Saddam Hussein. Naturalmente, è triste per i libertari vedere i loro vicini perdere la testa e reclamare l'uccisione di persone che non conoscono e che non gli hanno arrecato alcun danno, e la distruzione delle loro case. Lentamente ma inesorabilmente, tuttavia, gli americani stanno recuperando da questa perdita provvisoria di sanità mentale e stanno cominciando a riconoscere che sono stati traditi.

Ci sono inoltre stati certi cosiddetti libertari, affiliati con le varie organizzazioni i cui nomi derivano dalla romanziera Ayn Rand, che hanno sostenuto entusiasti la guerra in Iraq e hanno richiesto perfino che gli Stati Uniti vadano e “liberino” l'intero mondo musulmano. La genuina posizione libertaria è diversa. I libertari non sono pacifisti. Ma nel loro punto di vista, la violenza è giustificata soltanto in difesa, non per attaccare e certamente gli Stati Uniti non hanno agito per autodifesa da un attacco dell'Iraq. Vero, Saddam Hussein era un “cattivo”. Ma questo non fa dell'invasione degli Stati Uniti e dell'occupazione dell'Iraq un atto di liberazione. Se A libera B, che è ostaggio tenuto da C, questo è un atto di liberazione. Tuttavia, non è un atto di liberazione se A libera B dalle mani di C per prendere egli stesso B come ostaggio. Non è un atto di liberazione se A libera B dalle mani di C uccidendo D. Né è un atto di liberazione se A prende con la forza i soldi di D per liberare B da C. Di conseguenza, diversamente da una genuina liberazione, che è accolta dai liberati con unanime approvazione, l'occupazione degli Stati Uniti è stata incontrata da molto meno di un universale entusiasmo dagli Iracheni “liberati”.

Akkurt
: Che cosa pensate del ruolo dello stato nella società? È esso una necessità pratica, o una malvagità necessaria? Come descrivereste la transizione da un modello statale, come la Turchia, ad una società liberale classica?


Hoppe
: Dobbiamo in primo luogo definire rapidamente che cosa intendiamo per stato. Adotto quella che si potrebbe considerare la definizione standard: uno stato è un'agenzia che esercita un monopolio territoriale di ultima giurisdizione (per tutti i casi di conflitti, compresi i conflitti che coinvolgono lo stato in sé) e, implicitamente, di tassazione.


Ora: abbiamo imparato nella Microeconomia che i “monopoli” sono “male” dal punto di vista dei consumatori. Il monopolio quindi è compreso nel suo senso classico come privilegio esclusivo assegnato ad un singolo produttore di un prodotto o di un servizio, cioè come assenza “dell'entrata libera.” Soltanto ad A è permesso produrre X. Qualsiasi simile monopolista è male per i consumatori perché, protetto dai nuovi arrivi potenziali nella sua zona di produzione, il prezzo di X sarà più elevato e la qualità, al contrario, più bassa.

Perchè questo ragionamento dovrebbe cambiare quando si arriva al monopolio di stato come ultimo giudice e strumento esecutivo della legge?! Poichè lo stato è un monopolista classico, dobbiamo prevedere che il prezzo della giustizia sia più elevato e al contrario la qualità più bassa. Peggio ancora, poiché lo stato è giudice anche nei conflitti che lo coinvolgono, ci si deve aspettare dallo stato che causi realmente dei conflitti per poi “risolverli” nel suo stesso interesse. Tuttavia questa non è giustizia – un “bene” – ma ingiustizia – un “male”. Così, per rispondere alla vostra domanda: no, considero lo stato una male inutile. In un ordine naturale, con un gran numero di agenzie di arbitrato e assicurative competenti, il prezzo della giustizia calerebbe e la sua qualità aumenterebbe. I miei due libri più recenti, in particolare Democrazia: Il Dio Che Ha Fallito ed anche Il Mito della Difesa Nazionale spiegano in considerevole dettaglio come una società senza stato – società che funziona da se stessa – potrebbe operare e generare una prosperità senza paragoni.

Che dire degli obiettivi di transizione verso la libertà per i paesi come la Turchia? La risposta che ho è essenzialmente la stessa per la Turchia che per la Germania, la Francia, l'Italia o qualunque altro grande paese. La democrazia o la democratizzazione non è la risposta – come non è stata la risposta neanche nei paesi dell'ex-impero sovietico. Né lo è la centralizzazione – come quella dell'EU. Forse il mio libro dovrebbe essere tradotto in Turco!

Al contrario, la speranza più grande per la libertà viene dai piccoli paesi: da Monaco, dall'Andorra, dal Liechtenstein, anche dalla Svizzera, da Hong Kong, da Singapore, dalle Bermude, ecc.; e come liberale uno dovrebbe sperare in un mondo di decine di migliaia di tali piccole entità indipendenti. Perchè non una città indipendente libera di Costantinopoli o di Smirne, che mantenesse rapporti amichevoli con il governo turco centrale, ma che non dovesse più versare le imposte a quest'ultimo né ricevere alcun sussidio da esso e che non riconoscesse più la legge dell'amministrazione centrale ma avesse la propria legge di Costantinopoli o di Smirne.

Gli apologeti dello stato centrale (e dei superstati come l'UE) affermano che una tal proliferazione di unità politiche indipendenti condurrebbe alla disintegrazione e all'impoverimento economico. Tuttavia, non solo la prova empirica parla acutamente contro questa affermazione: i piccoli paesi suddetti sono tutti più ricchi dei loro dintorni. Inoltre, la riflessione teorica inoltre indica che questa affermazione è solo un altro mito statale.

I piccoli governi hanno molti competitori vicini. Se tassano e regolamentano i loro soggetti visibilmente più dei loro competitori, sono destinati a soffrire per l'emigrazione del lavoro e del capitale. Inoltre, più piccolo il paese, più grande sarà la pressione per optare per il libero scambio piuttosto che per il protezionismo. Ogni interferenza di governo con il commercio estero conduce all'impoverimento, nel paese così come all'estero. Ma più piccolo un territorio ed i relativi mercati interni, più drammatico sarà questo effetto. Se gli Stati Uniti si dedicassero al protezionismo, il livello di vita medio negli Stati Uniti crollerebbe, ma nessuno morirebbe di fame. Se una singola città, ad esempio Monaco, facesse lo stesso, l'inedia sarebbe quasi immediata. Considerate una singola famiglia come l'unità secessionista più piccola concepibile. Dedicandosi al libero scambio senza restrizione, persino il più piccolo territorio può essere completamente integrato nel mercato mondiale e partecipare a tutti i vantaggi della divisione del lavoro. Effettivamente, i suoi proprietari possono diventare la gente più ricca della terra. D'altra parte, se gli stessi proprietari della famiglia decidessero di rinunciare a tutto il commercio inter-territoriale, ne risulterebbero abietta povertà o morte. Di conseguenza, più piccolo il territorio ed il relativo mercato interno, più probabile è che opterà per libero scambio.

Inoltre, come qui posso soltanto segnalare ma non spiegare, la secessione promuove anche l'integrazione monetaria e condurrebbe al cambio del sistema monetario attuale delle oscillanti valute di carta nazionali con una moneta-merce standard interamente fuori dal controllo statale.In conclusione, il mondo sarebbe così composto di piccoli governi liberali integrati economicamente attraverso il libero scambio ed una moneta-merce internazionale come l'oro. Sarebbe un mondo di prosperità, sviluppo economico e progresso culturale inauditi.

Akkurt
: Che cosa pensate del pensiero libertario nei paesi in via di sviluppo? Sotto l'influenza della World Bank e di FMI, pensate che potrebbero trovare la loro via ad un'economia di libero mercato? Siete ottimista sul futuro di questi paesi, compresa la Turchia, riguardo ai valori liberali classici?


Hoppe
: L'umanità è stata dotata di ragione. Quindi, possiamo sempre sperare che la verità infine vincerà. Se uno non può essere ottimista per quanto riguarda qualunque paese particolare, come la Turchia, dipende dalla risposta a questo problema: quanto, in che proporzione, i membri dell'elite intellettuale di questo paese hanno una salda conoscenza dei fondamenti economici? Ed è una delle mansioni centrali di un think-tank liberale produrre e moltiplicare tali persone e generare così ragioni per l'ottimismo.

Quello che deve essere compreso nel mondo “in via di sviluppo” è questo. Esistono ragioni per le quali alcuni paesi sono ricchi ed altri poveri – e questi motivi hanno poco a che fare con lo “sfruttamento” dei ricchi sui poveri (anche se una tal cosa indubbiamente esiste). Esiste soltanto una via alla prosperità generale: con il risparmio e gli investimenti. I paesi ricchi sono ricchi, perché hanno accumulato una grande scorta di beni capitali per capita. I paesi poveri sono poveri, perché hanno accumulato poco capitale. Perchè c'è molto risparmio -investimento e grande accumulazione di capitale in alcuni posti e poco in altri? Perché in alcuni posti esiste un grado di sicurezza relativamente alto della proprietà privata o è esistito in passato ed in altri la proprietà privata è o è stata sotto costanti attacchi in forma di confisca, tasse e pianificazione. Dove la proprietà privata non è sicura, ci sarnno pochi risparmi ed investimenti.

Perchè ci sono bassi o pochi investimenti privati stranieri nel cosiddetto mondo in via di sviluppo, malgrado i costi della manodopera siano molto più bassi che negli Stati Uniti o in Europa occidentale? Negli Stati Uniti, sentite le continue proteste per “i lavori esportati” in paesi del terzo mondo con bassi stipendi. Tuttavia, la cosa stupefacente è quanto piccolo questo tipo di esportazione è in realtà. Ancora: una ragione centrale per la quale gli stranieri non investono più nel mondo in via di sviluppo è l'alta insicurezza dei diritti di proprietà privata.

Inoltre, il mondo “in via di sviluppo” deve capire che una valuta sana e un sistema monetario sono un aspetto molto importante nella sicurezza della proprietà. Soprattutto, una legge fondamentale deve essere compresa: che un aumento nella produzione dei soldi di carta del governo non potrà – mai, mai –aumentare il benessere sociale. Dopo tutto, è solo un aumento nel numero di pezzi di carta colorata. Non genera un singolo bene supplementare per il consumatore o il produttore. Altrimenti, se più soldi di carta potessero produrre maggiore ricchezza, perché c'è ancora povera gente in giro? L'unica cosa che l'inflazione può e realizza è una ridistribuzione sistematica del benessere sociale esistente in favore del governo come produttore dei soldi supplementari e dei suoi clienti immediati (ed a scapito di coloro che devono conseguentemente pagare prezzi più elevati mentre il loro reddito è rimasto identico). L'inflazione dei soldi di carta ruba e confisca ed i governi dei paesi “in via di sviluppo” sono stati i nemici peggiori della sicurezza monetaria.

Il mio consiglio al mondo non sviluppato: conquisti la reputazione di un posto in cui la proprietà privata, compreso il denaro, è sicura (pensi alla Svizzera, per esempio). Allora prospererete. In caso contrario non ce la farete.

Per quanto riguarda l'aiuto dal FMI o dalla World Bank, non contateci. Al contrario, queste istituzioni sono un'importante fonte di furberia economica e disinformazione. Sono state fondate dai governi occidentali, primi gli Stati Uniti, per promuovere i loro interessi. Sono formate da migliaia di “esperti” burocrati con impieghi ben pagati che richiedono poco lavoro e offrono benefici esotici accessori. Se sono economisti, gli “esperti” sono molto probabilmente Keynesiani; che significa che per loro, non esiste nessun problema che i soldi di carta non possano curare. Questa burocrazia è dotata di soldi di carta che gli Stati Uniti ed i suoi governi alleati “hanno creato da aria sottile” (stampato). Negozia prestiti ai governi dei paesi in difficoltà finanziaria, presumibilmente per tirarli fuori dalla difficoltà.

Da questa costellazione si può derivare la seguente previsione: poiché non sono i loro soldi, o quelli degli investitori privati, che i burocrati internazionali prestano, hanno poco o nessun interesse che le loro proposte politiche funzionino realmente ed i prestiti vengano rimborsati. Peggio, poiché sono “governi in difficoltà” ad essere salvati con i prestiti, le difficoltà economiche e le politiche che conducono a tali difficoltà sono effettivamente incoraggiate (pensi allo Zimbabwe e a Mugabe!). Perversamente, allora, il fallimento delle loro stesse prescrizioni politiche fornisce un motivo per la continuazione della loro stessa esistenza e sviluppo. Che cosa farebbe il FMI, se i governi non provocassero difficoltà economiche?

Quindi, la cooperazione con il FMI e la World Bank dovrebbe essere temuta ed evitata.
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Wednesday, July 25, 2007

Evasione o invasioni, cosa costa di più?

Sono il nuovo nemico dello stato, la lotta contro di loro dev'essere senza quartiere, nessuna pietà per i nuovi untori, gli affamatori del popolo, gli esseri immondi che impediscono al governo di funzionare correttamente e di distribuire ricchezza e sicurezza ai cittadini: sono gli evasori fiscali. Responsabili, si affrettano a sentenziarlo esponenti dei più diversi schieramenti, di favolosi ammanchi nei conti dello stato, il cui valore complessivo, si sente sussurrare nei corridoi romani, sfiora il PIL di intere piccole nazioni.

Per combattere questa piaga nulla è lasciato al caso: per il coraggioso attacco alle basi campane degli infidi nemici dello stato (leggi: ristoranti, pizzerie e discoteche) sono stati mobilitati 180 nuclei ispettivi della Guardia di Finanza. Il risultato? Un duro colpo alla rete criminosa dei lavoratori in nero:

160 violazioni all’obbligo di emissione di scontrini e ricevute fiscali, la scoperta di 3 evasori totali e l’individuazione di 240 lavoratori in nero e 51 lavoratori irregolari, di cui tre minori. Sono questi gli importanti risultati dell’operazione “Al chiaro di luna”, scattata in tutte le province della Campania, nella notte tra sabato 21 e domenica 22 luglio, e condotta da funzionari dell’Agenzia delle Entrate e da personale della Guardia di Finanza che hanno svolto 413 controlli finalizzati a contrastare i fenomeni di evasione fiscale e contributiva nonché il lavoro nero.
Ora, io vorrei credere che il denaro recuperato con questa operazione sia stato almeno sufficiente per coprirne il costo, ma sarebbe una prova di capacità di calcolo che da parte di un'istituzione statale temo sia decisamente improbabile. Ma se anche fosse, è davvero l'evasione che non fa quadrare i conti? Non sarà che mantenere la guerra all'evasione ci costa più dell'evasione stessa (che direttamente, tra l'altro, non mi costa nulla), difetto questo che perseguita inevitabilmente tutte le varie guerre organizzate dallo stato contro questo o quell'altro problema?

Soprattutto, non saranno mica altre, le spese “che non fanno quadrare i conti,” mi vien da pensare. Come quella di mantenere una casta di pianificatori chiaramente dediti alla pianificazione del loro personale futuro, a botte di centinaia di milioni di euro l'anno, ad esempio. Per fargli decidere – in nome del bene comune, è ovvio – spese come queste:
Poco più di un miliardo (1.040,5 milioni di euro) è questa la cifra stanziata dal governo per finanziare le missioni all'estero, dalla Bosnia al Libano, dal Darfur al Sudan, per l'anno 2007. Una quantità di denaro che servirà a sostenere non solo il settore militare e le sue attività, ma anche gli interventi umanitari offerti dal nostro paese alle popolazioni locali. Questo è quanto stabilito dal decreto per la proroga delle missioni internazionali approdato oggi alla Camera per essere sottoposto domani a votazione. A metterne in pericolo l'approvazione, in particolare al Senato dove la situazione numerica è tristemente conosciuta, il passaggio relativo all'Afghanistan, per il quale sono previsti 310 milioni di euro da investire nelle spese militari e 50 milioni per interventi di ricostruzione; a cui si andranno ad aggiungere i 500 milioni da erogare a favore della Conferenza di pace proposta dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema.
Al di là della simpatica differenza tra la cifra stanziata per interventi di ricostruzione e quella per la Conferenza di pace (bello l'uso delle maiuscole) proposta da D'Alema, ed il classico esempio di neolingua, le missioni umanitarie per dire guerre di invasione, quello che mi preme far notare è la dimensione stratosferica della cifra stanziata per un solo anno (!) di missioni all'estero, spesa inoltre di cui è ignoto il ritorno: siamo forse più felici, più sicuri, più ricchi, grazie a queste missioni? Non credo proprio.

Quanto ci costino gli evasori non lo possiamo sapere con certezza, quello che ci costano gli invasori invece sì. E gli evasori, in genere, non attaccano elettrodi ai testicoli della gente come curioso effetto collaterale.

Sassi che il mare ha consumato...

Dal film I Mostri, di Dino Risi ('63).

Tuesday, July 24, 2007

Bioimbecilli

Il prossimo obiettivo dell’Ue è di portare entro il 2020 l’utilizzo di energie rinnovabili al 20% e quello dei biocombustibili al 10%.
Tra il 2005 e il 2006 la produzione europea di biocombustibili è aumentata del 60%. Ma per raggiungere gli ambiziosi obiettivi si guarda anche oltreoceano:

Gli Stati Uniti ed alcuni Paesi dell’UE guardano con attenzione alla strategia brasiliana di collocarsi come player internazionale nel settore delle energie rinnovabili. La recente visita ufficiale in Brasile del Primo Ministro italiano Romano Prodi ha incluso la firma di alcuni accordi fra l’ENI e la brasiliana Petrobras per la costruzione nel Paese sudamericano di quattro centrali per la produzione di biodiesel, per un investimento complessivo di 280 milioni di dollari.
Se è per il bene del pianeta - volevo dire di Gaia, la Madre Terra – allora saranno soldi ben spesi! Purtroppo però, come spesso accade quando si fanno progetti troppo ambiziosi, qualcosa è sfuggito ai grandi pianificatori. E se il battito d'ali d'una farfalla può provocare un uragano dall'altra parte del mondo, figuriamoci cosa può provocare un'interferenza di qualche centinaio di milioni di dollari nel mercato brasiliano. Lo leggiamo sul FT:
Un impulso nella produzione dei biocombustibili derivati da mais, frumento e soia sta contribuendo a spingere verso l'alto i prezzi degli alimentari così rapidamente che il World Food Programme, l'agenzia delle Nazioni Unite incaricata di combattere la carestia, sta trovando difficoltà nell'alimentare altrettanta gente affamata come in passato.

Josette Sheeran, direttore esecutivo del WFP, ha detto in un'intervista con The Financial Times che l'aumento dei prezzi del cibo “stanno già avendo un effetto sulle operazioni del WFP” ed ha aggiunto: “c'è la comprensione che stiamo affrontando un nuovo livello di sfida.”
La saga continua: quante fesserie riusciranno a mettere in fila i nostri eroi, prima di far morire tutti di fame? Teniamo il conto (se non altro, ripensando all'intervista a Shikwati, chissà che non abbiano a giovarsene gli africani, se gli aiuti non arrivassero più...).

Economia estetica

Puntuale dopo il successo del libro-inchiesta La Casta, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, con tutte le polemiche che ne sono seguite, arriva il taglietto strategico ai costi della politica. Una sessantina di milioni in meno all'anno, a partire da gennaio.
Briciole, a fronte dei quattro miliardi di euro l'anno che ci costa questa casta di parassiti, ma l'importante è cominciare, assicura Bertinotti: "abbiamo cominciato, vi prego di considerare questo aspetto, da anni si parla di tagliare i costi della politica ma questa è la prima legislatura che decide qualcosa di concreto."

Ovviamente, non è vero: quasi ogni legislatura esegue questi ritocchini estetici, questi colpetti di bisturi giusto per dare una riverniciata di buona volontà alle fattezze cadenti di governi ormai sputtanati. Anche Berlusconi lanciò un decreto taglia-spese alla fine del suo turno al governo, nel 2005:
La finanziaria 2006 prevede infatti all’art. 13 (“riduzione dei costi della politica”) un taglio del 10% degli emolumenti, delle indennità e dei costi generali relativi all’esercizio di funzioni di rappresentanza, gestione, consulenza nella Pubblica Amministrazione.

... parlamentari, sindaci, presidenti di regione, consiglieri circoscrizionali, provinciali, sottosegretari, nonché numerosi enti: Senato, Camera dei Deputati, CNEL, Consiglio Superiore della Magistratura, ecc., mentre altre categorie non compaiono.
(pdf)
Quali saranno queste categorie?
“Tra le "vittime" della riduzione - continua Marcon - si nota l'assenza dei ministri del governo e del Presidente del Consiglio nonché del Governo e della Presidenza del Consiglio.”
Chissà, magari era davvero sicuro di vincere, o si trattò di un regalino per il prossimo governo? Ma soprattutto, qualcuno ha notato la differenza, tra il pre e il post trattamento estetico?

Saturday, July 21, 2007

Piccolo Glossario della Neolingua #2

Continua l'avventura alle radici della propaganda. Stavolta prendiamo in esame una parola il cui significato è stato non soltanto distorto, ma decisamente ribaltato.
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Profitto

Significato originario:
1
vantaggio, giovamento, beneficio fisico, intellettuale o morale: ha trovato p. in quella cura; fare, recare p., essere utile, portare giovamento; senza alcun p., senza un risultato soddisfacente
2
fig., miglioramento, progresso, spec. nello studio o nel lavoro: segue le lezioni con grande p. | scol., estens., livello di preparazione raggiunto in una materia: p. ottimo, sufficiente, scarso
3a
econ., in un’attività produttiva, commerciale o finanziaria, differenza tra il valore del prodotto e i costi di produzione
3b
econ., spec. al pl. ⇒utile

Il significato del lemma profitto, come si può facilmente constatare, esprime soltanto valori positivi, dai benefici fisici e intellettuali al miglioramento nello studio o nel lavoro. Eppure, sempre più spesso viene utilizzato come sinonimo di negatività, l'esatto opposto del suo vero significato: la logica del profitto, pensare solo al profitto, etc.
Non è difficile individuare la derivazione di questo ribaltamento di significato nelle idee marxiste:

«Il profitto è per noi in un primo tempo solo un altro nome, o un'altra categoria del plusvalore. Siccome, in base alla forma del salario, tutto il lavoro appare pagato, la parte non pagata del lavoro sembra derivare necessariamente non dal lavoro, ma dal capitale, e non dalla sua parte variabile, ma dal capitale complessivo. Con ciò il plusvalore riceve la forma del profitto, senza differenza quantitativa tra l'uno e l'altro. Si tratta solo della forma fenomenica illusoria dello stesso.» (dal Carteggio Marx-Engels, Editori Riuniti)
Il profitto identicato con il plusvalore diventa il frutto illegittimo dello sfruttamento del lavoratore da parte del capitalista, diventa refurtiva, ed è quindi male. Il fatto che tra l'imprenditore e il dipendente si sia svolta una contrattazione ed un libero scambio di salario con lavoro non è preso in considerazione.

Il profitto in realtà è ciò che indica che le nostre azioni sono state corrette per lo scopo che ci eravamo prefissi, è il miglioramento (non solo economico!) che ci consente di misurare i nostri progressi, lo strumento grazie al quale impariamo ad essere responsabili delle nostre azioni.
Nella logica degli stati moderni, invece, ciascuno – a prescindere dalla sua produttività – ha diritto a vivere bene (welfare state), anche se questo “vivere bene” è una misura alquanto soggettiva, in quanto di solito, se da una parte si traduce in una scadente assistenza sanitaria e pensioni al di sotto della soglia di povertà, dall'altra ci si aspetta di ricevere un salario solo in virtù dell'essere vivi.
Scrive Per Bylund a proposito della società svedese:

Faccio parte io stesso di questa seconda generazione di gente cresciuta con e grazie al welfare state. Una differenza significativa fra la mia generazione e quella precedente è che per la maggior parte noi non siamo stati affatto cresciuti dai nostri genitori. Siamo stati allevati delle autorità dentro asili statali a partire dall'infanzia; quindi spinti in scuole elementari pubbliche, scuole superiori pubbliche e università pubbliche; e successivamente ad occupazioni nel settore pubblico ed ancora altra formazione attraverso potenti sindacati e le loro associazioni educative. Lo stato è sempre presente ed è per molti l'unico modo per sopravvivere - e il suo welfare l'unico modo possibile di guadagnare l'indipendenza.
Il profitto in questo quadro è male, è ciò che impedisce la realizzazione delle proprie aspettative di vita: anche chi ha un lavoro meglio del mio è da considerare un nemico, in quanto è un ostacolo tra me e quel lavoro.
La necessità che attraverso il lavoro, di qualsiasi tipo, si debba ottenere un miglioramento in qualche senso è estirpata, ovviamente senza inoltrarsi nel dimostrare come il welfare state possa mantenere la sua promessa di vita migliore per tutti nel momento in cui la somma delle attività umane non presenti il minimo profitto, che è la conseguenza di un simile corso di ragionamento.

In conclusione, accettando il ribaltamento del significato di profitto, perdiamo anche il metro su cui misurare le nostre azioni, e con esso la capacità di giudicarle moralmente. Esattamente come bambini ci affidiamo all'autorità per il nostro mantenimento così come per la guida morale, rinunciando a diventare adulti responsabili e in grado di comportarsi correttamente anche senza un guinzaglio al collo.